OGM (1) – un passo più lungo della gamba!

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Cosa sono gli OGM?

Sono degli organismi viventi ai quali è stato modificato, grazie a procedimenti biotecnologici e di ingegneria genetica, il loro patrimonio genetico o DNA. Lo scopo è di ottenere per questi organismi caratteristiche particolari che non avrebbero mai potuto sviluppare spontaneamente in natura; solo con l’uso di tecniche particolari, messe a punto dalla scien za e che si riconducono essenzialmente alla tecnica del DNA ricombinante ciò è possibile.

È indubbio che i benefici indotti dalla modificazione genetica nel campo agronomico, ambientale e sanitario potrebbero essere molteplici e vantaggiosi anche dal punto di vista economico-sociale. Tuttavia gli alimenti geneticamente modificati, ormai largamente diffusi in molti paesi del mondo, sono molto carenti per quanto attiene la valutazione del loro impatto sulla salute umana a breve e, soprattutto, a lungo termine. Non conosciamo il destino dei geni contenuti negli OGM una volta introdotti nell’organismo umano e non sappiamo quale potrebbe essere il loro impatto sulla flora batterica intestinale o sul sistema immunitario.
Gli argomenti trattati sono complicati e ricchi di perplessità ma cercheremo per quanto possibile di essere chiari. Cominciamo dai vari tipi di OGM vegetali presenti nel mercato internazionale: il primo è quel transgene vegetale in grado di resistere a una certa quantità di veleno, affinché, una volta trattato il terreno con uno specifico erbicida, possa crescere solo quella pianta GM.

Il secondo tipo è un transgene vegetale nel cui codice genetico è stato inserito “l’ordine” di produrre una tossina (insetticida o altro) in grado di uccidere gli insetti che normalmente si cibano di questa pianta.

Il terzo modello è quello di piante transgeniche in grado di migliorare le caratteristiche estetiche, quantitative e qualitative del proprio frutto (pomodori che si conservavano più a lungo, frutti sempre più grandi e perfetti).

Ognuno di questi modelli porta con se un potenziale fattore di rischio per l’ambiente e per l’uomo; fra tutti, forse, il secondo tipo è quello più pericoloso. L’idea di realizzare OGM è sicuramente interessante se si pensa ai tempi estremamente ridotti necessari per realizzare un transgene, mentre in natura potrebbero essere necessari molti anni o più probabilmente potrebbe non realizzarsi mai. Indubbiamente molti aspetti dell’ingegneria genetica vengono in aiuto all’uomo, come lo sviluppo di nuove linee colturali per tentare di migliorare ed aumentare il rendimento, la resistenza e l’adattamento delle coltivazioni; in fondo però non si tratta di una grande novità visto che da decine di secoli l’uomo incrocia razze più vantaggiose e resistenti per un determinato ambiente.
Tuttavia per la prima volta l’ingegneria genetica ha pensato di inserire geni animali nei vegetali, e viceversa. In questo caso dobbiamo dire che, ad eccezione di una diatomea (micro- alga) che ha inglobato geni di altre specie vegetali ed animali (scoperta riportata su “Nature”), dalla comparsa dei primi organismi animali (circa 1,5 miliardi di anni fa) non si è mai registrato, con successo, lo scambio di materiale genetico tra il regno delle piante e quello degli animali.

Questa non dovrebbe essere una ragione sufficiente per essere più prudenti?
E le multinazionali che li pro- ducono dovrebbero saggiare queste nuove “invenzioni biologiche” in un lasso di tempo sufficientemente lungo tenendo in considerazione tutti i possibili risvolti negativi. Se analizziamo, per fare un esempio, quel tipo di transgene vegetale creato per crescere in una certa quantità di veleno (erbicida) capiremo che cospargere un campo di mais con il glifosfato per far crescere solo piante GM, selezionate per resistere in condizioni estreme di alto tasso d’avvelenamento, ha come conseguenza scontata che mangiando quel mais assorbiremmo anche noi nel nostro corpo questo veleno.

Uno studio effettuato dal biologo Rick Relyea dell’Università di Pittsburg nel 2005 ha dimostrato che il Roundup (glifosfato ed altre sostanze) è un composto particolarmente letale per gli anfibi (salamandre, rane, rospi e raganelle) e che nelle aree contaminate dal Roundup, osservate per la ricerca, la biodiversità anfibia è diminuita del 70%. Un altro recente studio svolto dal gruppo scientifico diretto da Gilles Eric Seralini dell’Università francese di Caen, ha confermato che le cellule della placenta umana sono molto sensibili al Roundup, anche in concentrazioni minori di quelle utilizzate in agricoltura. Ciò, secondo Seralini, spiegherebbe gli elevati indici di nascite premature e aborti osservati tra le agricoltrici statunitensi che utilizzano erbicidi a base di glifosfato. Esistono piante GM con gene Bt, in cui è stato introdotto il batterio Bacillus turingensis che produce una tossina in grado di uccidere la piralide (farfalla) del mais e non solo; questo transgene consentirebbe alla pianta GM di replicare in continuo questa tossina per uccidere, nel caso in cui venisse a contatto con essa, l’insetto dannoso.
Per sdrammatizzare potremmo dire che sarebbe come utilizzare sempre un shampoo anti pidocchi per non avere il rischio di prenderli!
Questo ragionamento è profondamente sbagliato ed è peggiore dei trattamenti a calendario (trattamenti che vengono svolti in periodi predefiniti): in primis perché in questo modo si accumulerebbero ingenti quantità di veleni nel terreno ed inoltre, inevitabilmente, si accumulerebbero nelle persone che consumano frequentemente OGM. Infatti, nelle parti esposte della pianta la proteina Bt è normalmente inattivata dai raggi del sole (ultravioletti) ma rimane attiva al suo interno e la pianta ne produce continuamente. La proteina Bt è anche definita “killer” in quanto ha una potentissima attività biologica nell’intestino della piralide e di altri invertebrati, ma non se ne conosce l’attività biologica negli esseri vertebrati. Cosa potrebbe avvenire se frammenti di DNA ricombi- nante svolgessero attività biologica non prevista e non controllabile a livello del sistema immunitario del tratto intestinale? Questi dubbi non sono affatto eccessivi poiché è stato dimostrato che il 5% di DNA esogeno (ossia proveniente dall’esterno) sopravvive nell’intestino, si ritrova nel sangue, milza, reni, fegato e feci degli animali da laboratorio (Costanzo, 2001). Inoltre le carni di animali allevati e nutriti con OGM, ed i loro prodotti, entrano nell’alimentazione umana e gli effetti non risultano del tutto scientificamente acclarati.

In definitiva si teme la possibilità che chi ingerisce alimenti geneticamente modificati possa avere nel proprio genoma ospiti non graditi, contro i quali le normali difese cellulari possono risultare impotenti. Infatti i complessi transgenici sono invasivi e non paragonabili ai normali geni presenti in natura (Fragale, 2005). Inoltre, il trasferimento orizzontale di geni provenienti da batteri GM a batteri naturali del tratto intestinale è già stato osservato e descritto in esperimenti di laboratorio. Questa evenienza ha cau- sato fenomeni allergici e modificazioni della microflora del tratto intestinale; un esempio su tutti è stato quello che si è verificato quando si è tentato di manipolare la soia con un gene della noce brasiliana. Test di laboratorio avevano evidenziato che il siero del sangue di soggetti allergici alla noce brasiliana reagiva in presenza di estratto della soia manipolata7. Il gene inserito codificava infatti un comune allergene della noce brasiliana, per cui la sua immissione sul mercato fu immediatamente bloccata.

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